giovedì 11 febbraio 2016


opera di Eric Lacombe

Ebbene: ho coltivato da sempre, e in modo già quasi perfetto fin dall’infanzia, due immensi poteri: il potere di mentire e il potere di assentarmi, cioè di perdere la consapevolezza di me stesso e l'attenzione per ciò che mi circonda. Ma se dico che li ho coltivati, questi poteri, fino al punto che essi hanno condizionato il mio destino, non per questo ne ho mai compreso l’utilità, o l'eventuale significato. lo mi limito a falsificare, e a latitare. So solo che una cosa non va senza l`altra, come l'interno e l’esterno di uno stesso oggetto.   (…)                                                                                      
Dei miei poteri, mentire e sparire, ho già detto che non conosco né l'origine né lo scopo. Il potere di mentire è indipendente dall'abilità più o meno sviluppata di dire una bugia facendo si che qualcun altro ci creda. Da quel punto di vista, le mie capacità sono assolutamente nella media.                                                                       
Ciò di cui sto parlando non è un gesto ma una condizione, un’abitudine slegata dalla volontà, un perenne esercizio di falsificazione e, per così dire, erosione della realtà filtrata dalla mia coscienza.                                                                                          
Fin da quando ho imparato a parlare, faticosamente architettando i primi giri di frase, sono stato in grado di alterare e mistificare, correggere e confondere, omettere, accrescere, sostituire, diminuire.                                                                                             
Quella di essere creduto, in compenso, è sempre stata l'ultima delle mie preoccupazioni.  (…)                                                                                             Ovviamente, non posso affermare di conoscere, durante i miei periodi di latenza o assenza più o meno prolungata, uno stato di vera e propria felicità: in quel rifugio grigio e soffice dove mi ritrovo non si prova nulla, assolutamente nulla, nemmeno il sentimento dello spazio o quello del tempo che, almeno a quanto affermano i filosofi, sono la premessa di ogni altro sentimento.                                                      
Semplicemente, quello che si può definire con buona approssimazione il mio io deriva la sua ragion d`essere e il principio della sua sopravvivenza dal percorrere senza tregua questo moto circolare o meglio pendolare, così che, sempre respinto nell'assenza e nella vacuità dalla violenza del linguaggio, dall`urto insostenibile della comunicazione, io faticosamente riemerga alla coscienza al solo scopo di mentire, in attesa di una nuova spinta fuori dai confini della vita e della consapevolezza.

Emanuele Trevi - Il libro della gioia perpetua - pag.11, 15, 23 

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